In onore di Franco Mastrogiovanni, assassinato da “T.S.O.”.
Per dire no alla tortura e alla contenzione psichiatrica! Per dire no alla banalità del male e dell’ingiustizia!
I Motivi per cui Avvocati Senza Frontiere ha chiesto al P.G. di Salerno di impugnare la sentenza d’appello che, ribaltando le pene e sanzioni inflitte, garantisce sostanziale impunità a medici ed infermieri (Vedi atto)
L’avevamo promesso. Ed, infatti, sin dall’inizio, l'impegno del Movimento per la Giustizia Robin Hood è stato quello di monitorare il corretto svolgimento del processo, evitando le solite facili assoluzioni dei “colletti bianchi”, troppo spesso protetti dalla magistratura inquirente e giudicante, più propensa a perseguire per resistenza, oltraggio, minacce, diffamazione o calunnia, chi denuncia i reati contro la pubblica amministrazione e i cittadini inermi, vittime di violenze e abusi di ogni ordine e specie, piuttosto che chi li commette (forze dell’ordine, pubblici ufficiali, professionisti, politici, magistrati). Come accaduto al povero Franco Mastrogiovanni, perseguitato per oltre 30 anni dalle Autorità locali, fino alla sua atroce morte, che aveva preannunciato implorando: “non portatemi a Vallo perché là mi ammazzano!”.
E’ così è stato. Proprio là, nel lager psichiatrico di Vallo della Lucania la sua profezia si è avverata. Lì, è stato lasciato, cinicamente, morire, dopo oltre 86 ore di incessante agonia, legato mani e piedi, senza acqua né cibo, ignorando ogni sua supplica e invocazione di aiuto a coloro che avrebbero dovuto assisterlo, curarlo e proteggerlo, nel rispetto della vita umana e dei codici internazionali etici per lo svolgimento della professione, dallo statuto delle Organizzazioni mediche mondiali (1948) allo statuto dell’Associazione psichiatrica mondiale (1976).
Ed, ora, i suoi torturatori (primario, medici e infermieri), possono tornare indisturbatamente ad esercitare la “professione medica e paramedica”, grazie alla sentenza della Corte d’Appello di Salerno, che pur riconoscendone la penale responsabilità, revoca le misure interdittive, concede le attenuanti e sospende la pena, riducendo le condanne al di sotto dei minimi edittali, rispetto a quelle già assai miti inflitte in primo grado (da un 1 anno e 2 mesi per gli infermieri, fino ad un massimo di 2 anni per i medici e il benemerito primario). Tutto può tornare come prima. E, a Vallo della Lucania, come in altri ospedali, si continuerà a morire di “contenzione di comodo”: cioè, legare i pazienti, non perché vanno “fuori di testa” o per esigenze terapeutiche, ma per mera comodità di medici ed infermieri, disumanità, cinismo, assenza di controlli, carenza di personale, ma, principalmente, certezza di impunità, come denunciato dallo stesso P.M. Francesco Rotondo, che prima di venire trasferito a Salerno [promuovere per rimuovere] aveva fatto in tempo a disporre il giudizio immediato degli imputati, chiedendo le misure cautelari, oggi, incautamente revocate, sebbene la sentenza di primo grado avesse interdetto per 5 anni tutti i medici dai pubblici uffici.
Di fronte a questa scandalosa assoluzione non possiamo tacere. Abbiamo pazientemente atteso il deposito della sentenza di appello per capire più a fondo il senso, ove di senso si possa parlare, del dispositivo pronunciato all’udienza del 15.11.2016. Ma, ora, dopo aver valutato attentamente lo svolgimento dei primi due gradi di giudizio, durati quasi 8 anni, come avevamo promesso, è nostro precipuo dovere mettere a nudo i fatti e le responsabilità delle parti. E, lo facciamo pubblicando la richiesta da noi trasmessa, lo scorso 5 aprile 2017, al P.G. di Salerno, quali parti civili, affinchè impugni in cassazione la sentenza n. 2296/16, resa dalla Corte d’Appello penale di Salerno, depositata il 6.3.2017, e notificataci nei giorni scorsi (Vedi sentenza d’appello) .
E’ la solita giustizia all’italiana, “forte con i deboli, debole con i forti”, dove anche la più atroce delle morti – [s’intende: quelle altrui] – finisce a “tarallucci e vino”, rimettendo ognuno al proprio posto, così da scoraggiare ogni futura azione di vittime, associazioni e magistrati “fuori controllo”, onde garantire l’intangibilità degli equilibri di potere delle massomafie che controllano il territorio, con particolare riferimento alla sanità campana, ma anche a quella di aziende ospedaliere del Nord, sciolte per mafia, a partire da Napoli, Locri, Palmi, Caserta, Pavia, dove sono state riscontrate forme di condizionamento da parte delle locali organizzazioni criminali, ramificate su scala nazionale, senza si sia mai istituita una commissione di inchiesta monocamerale sulla corruzione nella sanità, nonostante varie proposte di legge in tal senso, né tantomeno introdotto anche in Italia il reato di tortura, come richiesto dalle Nazioni Unite e dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.
L’impunità è sempre odiosa, ma lo è ancor di più quando la morte è provocata mediante torture, spietata indifferenza e complicità di coloro che dovrebbero proteggere i cittadini che fiduciosamente si affidano, prima al sistema sanatario nazionale, eppoi a quello giudiziario, nell’illusione di trovare un’equa riparazione agli errori medico-ospedalieri e ai torti subiti, a volte dagli stessi magistrati, come nel caso di Franco Mastrogiovanni, dove il pm d’udienza Martuscelli, dopo il trasferimento dell’originario titolare (pm Rotondo), il quale aveva svolto le indagini e formulato i capi d’accusa, ha fatto di tutto per minimizzare le fonti di prova, circa la lampante colpevolezza degli imputati, cercando di coprire ad oltranza le gravi responsabilità del personale sanitario, oltrechè delle forze dell’ordine e delle Autorità amministrative che avevano autorizzato il T.S.O., da ultimo dichiarato illegittimo dal Tribunale di Vallo della Lucania, condannando i medici per “sequestro di persona, morte come conseguenza di altro delitto e falso in atto pubblico”, grazie all’attività di denuncia, prontamente da noi svolta unitamente alle altre Associazioni e parti civili costituite.
In linea di principio, ambedue le sentenze di primo e grado hanno riconosciuto il ruolo propulsivo delle Associazioni, smentendo e censurando il pm Martuscelli, ma hanno reso giustizia solo a metà, avendo affermato la responsabilità penale degli imputati solo in maniera virtuale o simbolica. Dapprima, in quanto gli infermieri erano stati mandati assolti, in spregio ad ogni contraria evidenza, adducendo avessero agito per ordini superiori – eppoi – sebbene la Corte d’Appello abbia accolto l’impugnazione delle parti civili e del pm, riconoscendo come da noi sottolineato che anche il personale infermieristico è portatore di una posizione di garanzia, ex art. 40 c.p., nei confronti dei pazienti sottoposti alla loro cura e vigilanza – in quanto le condanne inflitte sono talmente miti e insignificanti, da svuotare di qualsiasi significato l’intero giudizio e il contenuto sanzionatorio delle norme penali violate, che prevedono pene severe e l’interdizione dai pubblici uffici, come aveva disposto in un primo tempo il tribunale, con condanne fino a 3 anni e 6 mesi di reclusione.
In altri termini è stato fatto un uso a dir poco “improprio” delle norme penali violate e dell’istituto delle attenuanti, in quanto trattandosi di sequestro di persona (art. 605 c.p.), che ha causato la morte della vittima (586 c.p.), come affermato in entrambi i gradi, dovevano applicarsi le aggravanti, prevalenti sulle attenuanti, vertendosi nell’ipotesi di condotte aggravate – sia ex art. 605 c. 4 c.p., sia ex art. 61 c. 1 nn. 4, 5, 9 c.p. – dal momento che, come emerge dalle telecamere di sorveglianza, l’illegittima contenzione è stata posta in essere con particolare crudeltà, indifferenza e sevizie, consistite nell’assoluta mancanza di cure al paziente, lasciato languire nudo, legato mani e piedi, per oltre tre giorni consecutivi, sino a procurarne morte, senza cibo né acqua, e con ferite profonde e sanguinanti, privo di qualsiasi adeguata assistenza e forma di soccorso, limitandosi ad applicare una soluzione fisiologica inferiore a quella del fabbisogno, impedendo agli stessi parenti di visitare il proprio congiunto e di accertare i disumani trattamenti subiti e lo stato di assoluto abbandono.
Altro che attenuanti e benefici di legge! Tali gravissime condotte criminose andavano sanzionate a norma di legge, con il necessario rigore imposto in casi consimili di inaudita ferocia e disumanità. Tutti gli imputati dovevano venire riconosciuti responsabili di omicidio preterintenzionale, ai sensi dell’art. 584 c.p., e, non già del mero omicidio colposo, essendo la morte di Franco Mastrogiovanni diretta conseguenza di una condotta programmaticamente rivolta contro l’incolumità individuale. Basta ricordare che il solo reato di cui all’art. 476 c.p., in relazione alla falsificazione delle cartelle cliniche, in cui non è stata riportata la contenzione, prevede la reclusione da tre a dieci anni. Mentre per il sequestro di persona (605 c. 2), è prevista una pena fino a 10 anni, qualora il soggetto agente rivesta la qualità di pubblico ufficiale, con abuso dei poteri inerenti alle sue funzioni, come nel caso di specie, in cui vi è, altresì, l’aggravante della morte della vittima. Lo stesso dicasi per quanto attiene l’art. 586 c.p., dalle cui previsioni normative fanno eccezione sia i delitti di percosse (581), sia di lesioni personali (582), “dal momento che se da tali condotte deriva la morte della vittima, si ha omicidio preterintenzionale ex art. 584 c.p.”, norma secondo cui è prevista una pena edittale da un minimo di 10 anni sino a 18 anni di reclusione.
In buona sostanza, una sentenza di compromesso. Un’operazione gattopardiana da terzo millennio, in chiave giudiziaria, di chi finge di adattarsi ai cambiamenti in atto, dando a vedere di apprezzarli e sostenerli, ma solo per poter conservare i privilegi delle caste, come affermava Tancredi, nipote di Don Fabrizio, principe di Salina: «Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi», nell’illuminante romanzo storico del principe siciliano Giuseppe Tomasi Di Lampedusa.
L’unico pregio delle decisioni in esame è quello di avere spezzato il clima persecutorio e d’odio politico nei confronti di Franco Mastrogiovanni, anche da morto, vittima dagli anni ’90 di reiterati abusi da parte delle forze dell’ordine e dello stesso pm Martuscelli, in relazione a un arresto illegale, per fatti da cui è stato poi completamente assolto, con condanna dello Stato Italiano al risarcimento dei danni da ingiusta detenzione. Ciononostante, i Giudici non sono stati in grado di far luce sulle ragioni di tale accanimento nei confronti della vittima e sulle oscure protezioni di cui hanno sinora goduto i suoi aguzzini e detrattori, come da noi denunciate, smascherando, tra l’altro, il maldestro tentativo del pm Martuscelli di manlevare il primario da ogni responsabilità, assecondando contro ogni diversa evidenza, immortalata dai filmati della video-sorveglianza, la versione dei fatti propinata dal Di Genio, secondo cui si sarebbe trovato in ferie, esibendo un ordine di servizio falso.
La risibilità della motivazione di appello, secondo cui si tratterebbe:
1- di “comportamenti diffusi” che non riguardano il solo personale sanitario di Vallo della
Lucania
2- di protocolli di “recente formazione” (2006), riferendosi alle linee guida dell’Ospedale Niguarda di Milano,
Come abbiamo sottolineato nei motivi di impugnazione, si commenta da sé e non merita ulteriori parole o censure, ricordando che la preziosità del bene della vita, il rispetto dei protocolli sanitari e delle leggi, ovvero l’importanza delle cure mediche che dovrebbero essere riservate ad un paziente affidato al servizio sanatario nazionale di un paese civile e progredito, come il nostro, che si vanta di essere la “culla del diritto” e la settima potenza industriale del mondo, non possono venire sviliti e neutralizzati da una sofferta pronuncia di compromesso, intervenuta a distanza di quasi 8 anni dai fatti, la quale più che rendere giustizia alle vittime, affermando principi di civiltà giuridica, si pone, invero, piuttosto, come “salvacondotto” di sostanziale impunità e stimolo alla reiterazione di reati analoghi da parte dei baroni e di chi opera nella sanità pubblica. E’ lo stesso Raffaele Cantone, Presidente dell’ANAC (Autorità Nazionale Anticorruzione), dal quale attendiamo ancora risposta alle nostre segnalazioni, a parlare di controllo della sanità pubblica come strumento per consolidare il potere della camorra sul territorio e che il primo scioglimento di una ASL appartiene alla Campania (da “I Gattopardi”).
A nostro parere, fatti-reato di tale gravità, così odiosi, turpi e contrastanti con ogni principio di civiltà giuridica e di umanità, che hanno provocato la morte atroce di un uomo sano, non possono di certo venire sanzionati mediante una condanna virtuale, a poco più di un anno di reclusione, paragonabile a quelle inflitte per reati bagatellari, privi di qualsiasi offensività e allarme sociale, quali la mera ricettazione di un telefono cellulare, resistenza, oltraggio o reati di natura ideologica.
Tutto ciò è inaccettabile ed il Movimento per la Giustizia continuerà fino in fondo la sua battaglia civile, se sarà necessario portando il caso avanti la Corte EDU e ad altri organismi internazionali, non già per “giustizialismo”, “vendetta” o “ragioni mediatiche”, come qualcuno maliziosamente potrà affermare, ma per mero senso di giustizia ed affermare in concreto il principio di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge e di certezza della pena, anche per i cd. “colletti bianchi” e coloro che se ne rendono complici, aderendo ad ordini illeciti, affinchè casi del genere non accadano più, introducendo il reato di tortura in Italia e ponendo fine agli abusi della psichiatria e alla coercizione per imporre trattamenti invasivi che si sono dimostrati distruttivi al di là di ogni ragionevole dubbio.
La vita umana, il dovere di cura, di assistenza e di soccorso non possono, infatti, venire considerati alla stregua di un “cartello stradale” di divieto di sosta apposto nottetempo, trattandosi di violazioni inescusabili nella maniera più ferma e rigorosa, salvo non volere ridurre il diritto e le leggi ad una applicazione discrezionale, tipica dei paesi privi di diritti certi. La morte annunciata di Francesco Mastrogiovanni è un caso eclatante di malasanità e malagiustizia, che non può rimanere impunita. Diversamente, il “maestro più alto del mondo”, come lo chiamavano affettuosamente i suoi alunni, è morto due volte, prima togliendogli brutalmente la vita nel lager psichiatrico, nel quale implorava di non essere trasportato, eppoi nelle aule di giustizia, in un processo di irragionevole lungaggine, trascinato sino ai limiti della prescrizione, sebbene sorto col rito speciale del “giudizio immediato”, dove i suoi carnefici sono stati di fatto “manlevati” da ogni sostanziale responsabilità penale e civile, ovvero da qualsiasi concreta forma di risarcimento dei danni, senza riconoscere, neppure, una minima provvisionale in favore dei parenti e delle parti civili, sebbene richiesta e di norma per riconosciuta, quando interviene una sentenza di condanna, come a volerli “punire” di essere andati fino in fondo, denunciando la malasanità e le deviazioni del sistema giudiziario.
La stessa liquidazione delle spese legali appare come una ulteriore dimostrazione di ingiustificata benevolenza nei confronti degli imputati e/o di prevenzione e malanimo nei confronti della vittima e delle parti civili, tenuto conto trattarsi di un processo della durata complessiva di ben quasi 8 anni, con 37 udienze in primo grado, oltre 10 in appello, 18 imputati, 10 parti civili, numerosi testi, periti d’ufficio e consulenti tecnici di parte, la cui imponente mole di atti da esaminare e attività defensionali non possono di certo venire compensati per il giudizio di appello con soli € 1300,00 complessivi, in favore di ciascuna parte civile, e posti a carico solidale dei 6 medici e della ASL (importo di norma riconosciuto per una udienza preliminare del G.I.P. di facile e pronta soluzione). Tantomeno, con soli € 3000,00, per il doppio grado di giudizio (47 udienze totali), posti a carico solidale dei 12 infermieri e della ASL, in relazione alla posizione di questi ultimi, dapprima mandati assolti – e da ultimo virtualmente condannati a seguito dell’impugnazione del pm e delle parti civili, il cui importante impegno professionale dei propri legali ha garantito che il processo non venisse da subito deviato su un binario morto, come nelle iniziali intenzioni del pm d’udienza, dr. Martuscelli, il quale ha cercato di ribaltare l’ineccepibile impianto accusatorio dell’originario P.M. dr. Rotondo, che aveva richiesto ed ottenuto il rinvio a giudizio immediato, disposto con decreto del G.I.P. presso il Tribunale di Vallo della Lucania, risalente al 1 febbraio 2010. Da qui il sospetto ben più grave che lo spietato omicidio preterintenzionale, preannunciato dallo stesso Mastrogiovanni – a tal punto consapevole della tremenda fine che lo attendeva da implorare: «Se mi portano a Vallo non ne esco vivo» – possa promanare da una preordinata vendetta politica, maturata negli ambiti dell’estrema destra, che forse non ha mai perdonato al maestro elementare, la morte del missino Carlo Falvella, dirigente del FUAN di Salerno, a cui era del tutto estraneo, e la sua fede anarchica che lo spingeva a continuare a ricercare la verità sulla strage di Piazza Fontana.
Il Movimento per la Giustizia e Avvocati senza Frontiere invitano perciò la Società civile e i media a sollecitare il Procuratore Generale di Salerno ad impugnare la sentenza di appello, contestando agli imputati l’omicidio preterintenzionale, affinché siano comminate giuste condanne a medici ed infermieri, nonché a riaprire i procedimenti archiviati sulle violenze subite da Francesco Mastrogiovanni e l’illegittimità del T.S.O., che lo ha portato alla morte. Aiutateci a fare sentire la voce di chi non può più gridare aiuto, affinchè possa manifestarsi anche la “banalità del bene” e non solo quella del male, in grado di piegare lo stato di diritto ad interessi perversi.
Aiutateci a mobilitare tutte le migliori risorse della Società civile per contrastare le massomafie e la dilagante corruzione nei palazzi del potere, le cui mura trasudano “del puzzo del compromesso che si contrappone al fresco profumo della libertà”, come affermava Paolo Borsellino, prima di venire lasciato uccidere, come Falcone e tanti altri magistrati coraggiosi e fedeli servitori delle istituzioni, da quello stesso Stato a cui avevano offerto le loro vite.
Giustizia e Verità per Franco Mastrogiovanni! Giustizia e Verità per tutte le vittime di Stato!